il solstizio d’inverno arriva come un freddo
all’alba mentre stai arrotolato dentro il letto
tutto vestito e indisponibile ad alzarti;
in dormiveglia devi rinominare una per volta
ogni cosa perché niente ormai ti appare come sembra:
la lunga attesa di una tenerezza – scrive –
«è una tua falsa aspettativa che non mi compete»;
il grande amore che non hai vissuto – scrive –
è «stanotte ti ho sognato ti auguro ogni bene»;
la solitudine è un brillare di candele
da lontano di parole dolci su WhatsApp
di risate intelligenti di colleghe in disincanto
perché l’ironia è la prevenzione dal suicidio
questo è l’anno nuovo
questa certezza che verranno ore luminose e calde
che la fratellanza accenderà per sempre
che la moglie che hai abbandonato senza senno
continuerà a chiamarti per portare il cibo
al figlio chiuso in casa con il virus
parlando ancora del futuro di un trentenne;
la certezza che si va formando in prospettiva
che le “passioni travolgenti” che ti hanno invaso anni
erano determinate da ciò che non sei più per loro
ti alzi, per scrivere
con le mani ancora un po’ gelate
ti ecciti alle dita lunghe di un’amica
che graffiano erotismo sopra un’altra pelle
e sai che – certamente – qua e là – attualmente –
l’amore sta scaldando trasformando in oro qualche cosa